La più bella del mondo – La Carta del Carnaro
Scritto da RBN il Dicembre 19, 2012
LA CARTA DEL CARNARO
1920
TESTO DI GABRIELE D’ANNUNZIO
Della perpetua volontà popolare
Fiume, libero comune italico da secoli, pel voto unanime dei cittadini e per la voce
legittima del Consiglio nazionale, dichiarò liberamente la sua dedizione piena e intiera
alla madre patria, il 30 ottobre 1918.
Il suo diritto è triplice, come l’armatura impenetrabile del mito romano.
Fiume è l’estrema custode italica delle Giulie, è l’estrema rocca della cultura
latina, è l’ultima portatrice del segno dantesco. Per lei, di secolo in secolo, di vicenda in
vicenda, di lotta in lotta, di passione in passione, si serbò italiano il Carnaro di Dante.
Da lei s’irraggiarono e s’irraggiano gli spiriti dell’italianità per le coste e per le isole, da
Volosca a Laurana, da Moschiena ad Albona, da Veglia a Lussino, da Cherso ad Arbe.
E questo è il suo diritto storico.
Fiume, come già l’originaria Tarsàtica posta contro la testata australe del Vallo
liburnico, sorge e si stende di qua dalle Giulie. È pienamente compresa entro quel
cerchio che la tradizione la storia e la scienza confermano confine sacro d’Italia.
E questo è il suo diritto terrestre.
Fiume con tenacissimo volere, eroica nel superare patimenti insidie violenze
d’ogni sorta, rivendica da due anni la libertà di scegliersi il suo destino e il suo compito,
in forza di quel giusto principio dichiarato ai popoli da taluno dei suoi stessi avversari
ingiusti.
E questo è il suo diritto umano.
Le contrastano il triplice diritto l’iniquità la cupidigia e la prepotenza straniere; a
cui non si oppone la trista Italia, che lascia disconoscere e annientare la sua propria
vittoria.
Per ciò i1 popolo della libera città di Fiume, sempre fiso al suo fato latino e
sempre inteso al compimento del suo voto legittimo, delibera di rinnovellare i suoi
ordinamenti secondo lo spirito della sua vita nuova, non limitandoli al territorio che
sotto il titolo di «Corpus separatum» era assegnato alla Corona ungarica, ma offrendoli
alla fraterna elezione di quelle comunità adriatiche le quali desiderassero di rompere gli
indugi, di scuotere l’opprimente tristezza e d’insorgere e di risorgere nel nome della
nuova Italia.
Così, nel nome della nuova Italia, il popolo di Fiume costituito in giustizia e in
libertà fa giuramento di combattere con tutte le sue forze, fino all’estremo, per
mantenere contro chiunque la contiguità della sua terra alla madre patria, assertore e
difensore perpetuo dei termini alpini segnati da Dio e da Roma.
Dei fondamenti
I – Il popolo sovrano di Fiume, valendosi della sua sovranità non oppugnabile né
violabile, fa centro del suo libero stato il suo «Corpus separatum», con tutte le sue
strade ferrate e con l’intiero suo porto.
Ma, come è fermo nel voler mantenere contigua la sua terra alla madre patria dalla
parte di ponente, non rinunzia a un più giusto e più sicuro confine orientale che sia per
essere determinato da prossime vicende politiche e da concordati conclusi coi comuni
rurali e marittimi attratti dal regime del porto franco e dalla larghezza dei nuovi statuti.
II – La Reggenza italiana del Carnaro è costituita dalla terra di Fiume, dalle isole di
antica tradizione veneta che per voto dichiarano di aderire alle sue fortune; e da tutte
quelle comunità affini che per atto sincero di adesione possano esservi accolte secondo
lo spirito di un’apposita legge prudenziale.
III – La Reggenza italiana del Carnaro è un governo schietto di popolo – «res populi» –
che ha per fondamento la potenza del lavoro produttivo e per ordinamento le più larghe
e le più varie forme dell’autonomia quale fu intesa ed esercitata nei quattro secoli
gloriosi del nostro periodo comunale.
IV – La Reggenza riconosce e conferma la sovranità di tutti i cittadini senza divario di
sesso, di stirpe, di lingua, di classe, di religione.
Ma amplia ed inalza e sostiene sopra ogni altro diritto i diritti dei produttori;
abolisce o riduce la centralità soverchiante dei poteri costituiti;
scompartisce le forze e gli officii,
cosicché dal gioco armonico delle diversità sia fatta sempre vigorosa e più ricca la
vita comune.
V – La Reggenza protegge difende preserva tutte le libertà e tutti i diritti popolari;
assicura l’ordine interno con la disciplina e con la giustizia;
si studia di ricondurre i giorni e le opere verso quel senso di virtuosa gioia che
deve rinnovare dal profondo il popolo finalmente affrancato da un regime uniforme di
soggezioni e di menzogne;
costantemente si sforza di elevare la dignità e di accrescere la prosperità di tutti i
cittadini,
cosicché il ricevere la cittadinanza possa dal forestiero esser considerato nobile
titolo e altissimo onore, come era un tempo il vivere con legge romana.
VI – Tutti i cittadini dello Stato, d’ambedue i sessi, sono e si sentono eguali davanti alla
nuova legge.
L’esercizio dei diritti riconosciuti dalla costituzione non può essere menomato né
soppresso in alcuno se non per conseguenza di giudizio pubblico e di condanna solenne.
VII – Le libertà fondamentali di pensiero, di stampa, di riunione e di associazione sono
dagli statuti guarentite a tutti i cittadini.
Ogni culto religioso è ammesso, è rispettato, e può edificare il suo tempio;
ma nessun cittadino invochi la sua credenza e i suoi riti per sottrarsi
all’adempimento dei doveri prescritti dalla legge viva.
L’abuso delle libertà statutarie, quando tenda a un fine illecito e turbi l’equilibrio
della convivenza civile, può essere punito da apposite leggi;
ma queste non devono in alcun modo ledere il principio perfetto di esse libertà.
VIII – Gli statuti guarentiscono a tutti i cittadini d’ambedue i sessi:
l’istruzione primaria in scuole chiare e salubri;
l’educazione corporea in palestre aperte e fornite;
il lavoro remunerato con un minimo di salario bastevole a ben vivere;
l’assistenza nelle infermità, nella invalitudine, nella disoccupazione involontaria;
la pensione di riposo per la vecchiaia;
l’uso dei beni legittimamente acquistati;
l’inviolabilità del domicilio;
l’habeas corpus;
il risarcimento dei danni in caso di errore giudiziario o di abusato potere.
IX – Lo Stato non riconosce la proprietà come il dominio assoluto della persona sopra la
cosa, ma la considera come la più utile delle funzioni sociali.
Nessuna proprietà può essere riservata alla persona quasi fosse una sua parte; né
può esser lecito che tal proprietario infingardo la lasci inerte o ne disponga malamente,
ad esclusione di ogni altro.
Unico titolo legittimo di dominio su qualsiasi mezzo di produzione e di scambio è
il lavoro.
Solo il lavoro è padrone della sostanza resa massimamente fruttuosa e
massimamente profittevole all’economia generale.
X – Il porto, la stazione, le strade ferrate comprese nel territorio fiumano sono proprietà
perpetua incontestabile ed inalienabile dello Stato.
È concesso – con un Breve del Porto franco – ampio e libero esercizio di
commercio, di industria, di navigazione a tutti gli stranieri come agli indigeni, in
perfetta parità di buon trattamento e immunità da gabelle ingorde e incolumità di
persone e di cose.
XI – Una Banca nazionale del Carnaro, vigilata dalla Reggenza, ha l’incarico di
emettere la carta moneta e di eseguire ogni altra operazione di credito.
Una legge apposita ne determinerà i modi e le regole, distinguendo nel tempo
medesimo i diritti gli obblighi e gli oneri delle Banche già nel territorio operanti e di
quelle che fossero per esservi fondate.
XII – Tutti i cittadini d’ambedue i sessi hanno facoltà piena di scegliere e di esercitare
industrie professioni arti e mestieri.
Le industrie iniziate e alimentate dal denaro estraneo e ogni esercizio consentito a
estranei troveranno le loro norme in una legge liberale.
XIII – Tre specie di spiriti e di forze concorrono all’ordinamento al movimento e
all’incremento dell’università:
i Cittadini
le Corporazioni
i Comuni.
XIV – Tre sono le credenze religiose collocate sopra tutte le altre nella università dei
Comuni giurati:
la vita è bella, e degna che severamente e magnificamente la viva l’uomo rifatto
intiero dalla libertà;
l’uomo intiero è colui che sa ogni giorno inventare la sua propria virtù per ogni
giorno offrire ai suoi fratelli un nuovo dono;
il lavoro, anche il più umile, anche il più oscuro, se sia bene eseguito, tende alla
bellezza e orna il mondo.
Dei cittadini
XV – Hanno grado e titolo di cittadini nella Reggenza
tutti i cittadini presentemente noverati nella libera città di Fiume;
tutti i cittadini appartenenti alle altre comunità che chiedano di far parte del nuovo
Stato e vi sieno accolte;
tutti coloro che per pubblico decreto del popolo sieno di cittadinanza privilegiati;
tutti coloro che, avendo chiesta la cittadinanza legale, l’abbiano per decreto
ottenuta.
XVI – I cittadini della Reggenza sono investiti di tutti i diritti civili e politici nel punto
in cui compiono il ventesimo anno di età.
Senza distinzione di sesso diventano legittimamente elettori ed eleggibili per tutte
le cariche.
XVII – Saranno privi dei diritti politici, con regolare sentenza, i cittadini
condannati in pena d’infamia;
ribelli al servizio militare per la difesa del territorio;
morosi al pagamento delle tasse;
parassiti incorreggibili a carico della comunità, se non sieno corporalmente
incapaci di lavorare per malattia o per vecchiezza.
XVIII – Lo stato è la volontà comune e lo sforzo comune del popolo verso un sempre
più alto grado di materiale e spirituale vigore.
Soltanto i produttori assidui della ricchezza comune e i creatori assidui della
potenza comune sono nella Reggenza i compiuti cittadini e costituiscono con essa una
sola sostanza operante, una sola pienezza ascendente.
Qualunque sia la specie del lavoro fornito di mano o d’ingegno, d’industria o
d’arte, di ordinamento o di eseguimento, tutti sono per obbligo inscritti in una delle
dieci Corporazioni costituite che prendono dal comune l’imagine della lor figura, ma
svolgono liberamente la loro energia e liberamente determinano gli obblighi mutui e le
mutue provvidenze.
XIX – Alla prima Corporazione sono inscritti gli operai salariati dell’industria,
dell’agricoltura, del commercio, dei trasporti; e gli artigiani minuti e i piccoli
proprietarii di terre che compiano essi medesimi la fatica rurale o che abbiano aiutatori
pochi e avventizii.
La corporazione seconda raccoglie tutti gli addetti ai corpi tecnici e amministrativi
di ogni privata azienda industriale e rurale, esclusi i comproprietarii di essa azienda.
Nella terza si radunano tutti gli addetti alle aziende commerciali, che non sieno
veri operai; e anche da questa sono esclusi i comproprietarii.
La quarta corporazione associa i datori d’opra in imprese d’industria,
d’agricoltura, di commercio, di trasporti, quando essi non sieno soltanto proprietarii ma
– secondo lo spirito dei nuovi statuti – conduttori sagaci e accrescitori assidui
dell’azienda.
Sono compresi nella quinta tutti i pubblici impiegati comunali e statuali di
qualsiasi ordine.
La sesta comprende il fiore intellettuale del popolo: la gioventù studiosa e i suoi
maestri: gli insegnanti delle scuole pubbliche e gli studenti degli istituti superiori; gli
scultori, i pittori, i decoratori, gli architetti, i musici, tutti quelli che esercitano le arti
belle, le arti sceniche, le arti ornative.
Della settima fanno parte tutti quelli che esercitano professioni libere non
considerate nelle precedenti rassegne.
L’ottava è costituita dalle Società cooperatrici di produzione, di lavoro e di
consumo, industriali e agrarie; e non può essere rappresentata se non dagli
amministratori alle società stesse preposti.
La nona assomma tutta la gente di mare.
La decima non ha arte né novero né vocabolo. La sua pienezza è attesa come
quella della decima Musa. È riservata alle forze misteriose del popolo in travaglio e in
ascendimento. È quasi una figura votiva consacrata al genio ignoto, all’apparizione
dell’uomo novissimo, alle trasfigurazioni ideali delle opere e dei giorni, alla compiuta
liberazione dello spirito sopra l’ànsito penoso e il sudore di sangue.
È rappresentata, nel santuario civico, da una lampada ardente che porta inscritta
un’antica parola toscana dell’epoca dei Comuni, stupenda allusione a una forma
spiritualizzata del lavoro umano:
«Fatica senza fatica».
XX – Ogni corporazione svolge il diritto di una compiuta persona giuridica
compiutamente riconosciuta dallo stato.
Sceglie i suoi consoli;
manifesta nelle sue adunanze la sua volontà;
detta i suoi patti, i suoi capitoli, le sue convenzioni;
regola secondo la sua saggezza e secondo le sue esperienze la propria autonomia;
provvede ai suoi bisogni e accresce il suo patrimonio riscotendo dai consociati una
imposta pecuniaria in misura della mercede, dello stipendio, del profitto d’azienda, del
lucro professionale;
difende in ogni campo la sua propria classe e si sforza di accrescerne la dignità;
si studia di condurre a perfezione la tecnica delle arti e dei mestieri;
cerca di disciplinare il lavoro volgendolo verso modelli di moderna bellezza;
incorpora lavoratori minuti per animarli e avviarli a miglior prova;
consacra gli obblighi del mutuo soccorso;
determina le provvidenze in favore dei compagni infermi o indeboliti;
inventa le sue insegne, i suoi emblemi, le sue musiche, i suoi canti, le sue
preghiere;
instituisce le sue cerimonie e i suoi riti;
concorre, quanto più magnificamente possa, all’apparato delle comuni allegrezze,
delle feste anniversarie, dei giochi terrestri e marini;
venera i suoi morti, onora i suoi decani, celebra i suoi eroi.
XXI – Le attinenze fra tra Reggenza e le Corporazioni, e fra l’una e l’altra
Corporazione, sono regolate nei modi medesimi che gli statuti definiscono nel regolare
le dipendenze fra i poteri centrali della Reggenza e i Comuni giurati, e fra l’uno e l’altro
Comune.
I socii di ciascuna Corporazione costituiscono un libero corpo elettorale per
eleggere i rappresentanti al Consiglio dei Provvisori.
Ai consoli delle Corporazioni e alle loro insegne è dovuto nelle cerimonie
pubbliche il primo luogo.
Dei Comuni
XXII – Si ristabilisce per tutti i Comuni l’antico «potere normativo», che è il diritto
d’autonomia pieno: il diritto particolare di darsi proprie leggi, entro il cerchio del diritto
universo.
Essi esercitano in sé e per sé tutti i poteri che la Costituzione non attribuisce agli
officii legislativi esecutivi e giudiziarii della Reggenza.
XXII – A ogni comune è data amplissima facoltà di formarsi un corpo unitario di leggi
municipali, variamente derivate dalla consuetudine propria, dalla propria indole,
dall’energia trasmessa e dalla nuova coscienza.
Ma deve ogni comune chiedere per i suoi statuti la mallevadoria della Reggenza,
che la concede.
quando essi statuti non contengano nulla di palesemente o copertamente contrario
allo spirito della Costituzione;
quando essi statuti sieno approvati accettati votati dal popolo e possano essere
riformati o emendati dalla volontà della schietta maggioranza cittadina.
XXIV – Ai Comuni è riconosciuto il diritto di condurre accordi, di praticare
componimenti, di concludere trattati fra loro, in materia di legislazione e di
amministrazione.
Ma è fatto a essi obbligo di sottoporli all’esame del Potere esecutivo centrale.
Se il potere stima che tali accordi componimenti trattati sieno in contrasto con lo
spirito della Costituzione, li raccomanda per il giudizio inappellabile alla Corte della
Ragione.
Se la Corte li dichiara illegittimi e invalidi, il Potere esecutivo della Reggenza
provvede a romperli e disfarli.
XXV – Quando l’ordine interno di un comune sia turbato da fazioni, da soprafrazioni,
da macchinazioni, o da una qualunque altra forma di violenza e d’insidia,
quando l’integrità e la dignità di un Comune sieno minacciate o lese da un altro
Comune prevaricante,
il Potere esecutivo della Reggenza interviene mediatore e pacificatore,
se richiedano l’intervento le autorità comunali concordi,
se lo richieda il terzo dei cittadini esercitanti i diritti politici nel luogo stesso.
XXVI – Ai Comuni segnatamente si appartiene fondare l’istruzione primaria secondo le
norme stabilite dal Consiglio scolastico dello Stato;
nominare i giudici comunali;
instituire e mantenere la polizia comunale;
mettere imposte;
contrarre prestiti nel territorio della Reggenza, o anche fuori del territorio ma con
la mallevadoria del Governo che dimandato non la concede se non nei casi di manifesta
necessità.
Del potere legislativo
XXVII – Esercitano il potere legislativo due corpi formati per elezione:
il Consiglio degli Ottimi
il Consiglio dei Provvisori.
XXVIII – Eleggono il Consiglio degli Ottimi, nei modi del suffragio universale diretto e
segreto, tutti i cittadini della Reggenza che abbiano compiuto il ventesimo anno di età e
che sieno investiti dei diritti politici.
Ogni cittadino votante della Reggenza può essere assunto al Consiglio degli
Ottimi.
XXIX – Gli Ottimi durano nell’oficio tre anni.
Sono eletti in ragione di uno per ogni migliaio di elettori; ma in ogni caso non può
il loro numero essere di sotto al trenta.
Tutti gli elettori formano un corpo elettorale unico.
L’elezione si compie nei modi del suffragio universale e della rappresentanza
proporzionale.
XXX – Il Consiglio degli Ottimi ha potestà ordinatrice e legislatrice nel trattare
del Codice penale e civile,
della Polizia,
della Difesa nazionale,
della Istruzione pubblica e secondaria,
delle Arti belle,
dei Rapporti fra lo Stato e i Comuni.
Il Consiglio degli Ottimi per ordinario non si aduna se non una volta l’anno, nel
mese di ottobre, con brevità spiccatamente concisa.
XXXI – Il Consiglio dei Provvisori si compone di sessanta eletti, per elezione compiuta
nel modo del suffragio universale segreto e con la regola della rappresentanza
proporzionale:
Dieci Provvisori sono eletti dagli operai d’industria e dai lavoratori della terra;
dieci dalla gente di mare;
dieci dai datori d’opra;
cinque dai tecnici agrarii e industriali;
cinque dagli addetti alle amministrazioni delle aziende private;
cinque dagli insegnanti delle scuole pubbliche, dagli studenti delle scuole
superiori, e dagli altri consociati della sesta corporazione;
cinque dalle professioni libere;
cinque dai pubblici impiegati;
cinque dalle Società cooperatrici di produzione, di lavoro e di consumo.
XXXII – I Provvisori durano nell’officio due anni.
Non sono eleggibili se non appartengano alla corporazione rappresentata.
XXXIII – Per ordinario il consiglio dei Provvisori si aduna due volte l’anno, nei mesi di
maggio e di novembre, usando nel dibattito il modo laconico.
Ha potestà ordinatrice e legislatrice nel trattare
del Codice commerciale e marittimo;
delle Discipline che conducono il lavoro continuato;
dei Trasporti;
delle Opere pubbliche;
dei Trattati di commercio, delle dogane, delle tariffe, e d’altra materie affini;
della Istruzione tecnica e professionale;
delle Industrie e delle Banche;
delle Arti e dei Mestieri.
XXXIV – Il Consiglio degli Ottimi e il Consiglio dei Provvisori si riuniscono una volta
l’anno in un sol corpo, sul principio del mese di dicembre, costituendo un grande
Consiglio nazionale sotto il titolo di Arengo del Carnaro.
L’Arengo tratta e delibera
delle Relazioni con gli altri Stati;
della Finanza e de1 Tesoro;
degli Alti Studii;
della riformabile Costituzione;
dell’ampliata libertà.
Del potere esecutivo
XXXV – Esercitano il potere esecutivo della Reggenza sette Rettori partitamente eletti
dall’Assemblea nazionale, dal Consiglio degli Ottimi, dal Consiglio dei Provvisori.
Il Rettore degli Affari Esteri, il Rettore delle Finanze e del Tesoro, il Rettore
dell’Istruzione pubblica sono eletti dall’Assemblea nazionale.
Il Rettore dell’Interno e della Giustizia, il Rettore della Difesa nazionale sono
eletti dal Consiglio degli Ottimi.
Il Consiglio dei Provvisori elegge il Rettore dell’Economia pubblica e il Rettore
del Lavoro.
Il Rettore degli Affari esteri assume titolo di Primo Rettore, e rappresenta la
Reggenza al cospetto degli altri Stati «primus inter pares».
XXXVI – L’officio dei sette Rettori è stabile e continuo. Delibera di ogni cosa che non
competa all’amministrazione corrente.
il Primo Rettore regola il dibattito, e ha voto decisivo in caso di parità.
I Rettori sono eletti per un anno, e non sono rieleggibili se non per una volta sola.
Ma, dopo l’intervallo di un anno, possono essere nuovamente nominati.
Del potere giudiziario
XXXVII – Partecipano del potere giudiziario
i Buoni uomini
i Giudici del Lavoro
i Giudici togati
i Giudici del Maleficio
la corte della Ragione.
XXXVIII – I Buoni uomini, eletti per fiducia popolare da tutti gli elettori dei varii
comuni in misura del numero, giudicano delle controversie civili e commerciali sino al
valore di cinquemila lire e sentenziano delle colpe che cadano sotto pene di durata non
superiore a un anno.
XXIX – I Giudici del Lavoro giudicano delle controversie singolari fra i salariati e i
datori d’opra.
Essi costituiscono collegi di giudici nominati dalle Corporazioni che eleggono il
Consiglio dei Provvisori.
In questa misura:
due dagli operai d’industrie e dai lavoratori della terra;
due dalla gente di mare;
due dai datori d’opra;
dai lavoratori della terra;
uno dai tecnici industriali ed agrarii;
uno dalle libere professioni;
uno dagli addetti alle amministrazioni delle private aziende;
uno dagli impiegati pubblici;
uno dagli Insegnanti, dagli studenti degli Istituti superiori e dagli altri socii della
sesta Corporazione;
uno dalle Società cooperatrici di produzione, di lavoro e di consumo.
I Giudici del Lavoro hanno facoltà di dividere in sezioni i loro collegi per
sollecitare i giudizii, servitori pronti d’una giustizia leggera ed espeditissima.
Alle sezioni ricongiunte compete il giudizio d’appello.
XXXX – I Giudici togati giudicano di tutte quelle questioni civili commerciali e penali
in cui i Buoni uomini e i Giudici del Lavoro non abbiano competenza, eccettuate quelle
spettanti ai Giudici del Maleficio.
Costituiscono il Tribunale d’appello per le sentenze dei Buoni uomini.
Sono dalla Corte della Ragione scelti per concorsi fra i cittadini addottorati in
legge.
XXXXI – Sette cittadini giurati, assistiti da due supplenti e presieduti da un giudice
togato, compongono il Tribunale del Maleficio,
che giudica tutti i delitti di colore politico e tutti quei misfatti che sieno da unire
con la privazione della libertà corporale per un tempo superiore al triennio.
XXXII – Eletta dal Consiglio nazionale, la Corte della Ragione si compone di cinque
membri effettivi e di due supplenti.
Dei membri effettivi almeno tre, dei supplenti almeno uno saranno scelti fra i
dottori di legge.
La corte della Ragione giudica
degli atti e decreti emanati dal Potere legislativo e dal Potere esecutivo, per
accertarli conformi alla Costituzione;
di ogni conflitto statutario fra il Potere legislativo e il Potere esecutivo, fra la
Reggenza e i Comuni, fra Comune e Comune, fra la Reggenza e le Corporazioni, fra la
Reggenza e i privati, fra i Comuni e le Corporazioni, fra i Comuni e i privati;
dei casi di alto tradimento contro la Reggenza per opera di cittadini partecipi del
Potere legislativo e dell’esecutivo;
degli attentati al diritto delle genti;
delle contestazioni civili fra la Reggenza e i Comuni, fra Comune e Comune;
delle trasgressioni commesse da partecipi dei poteri;
delle questioni di competenza fra i varii magistrati giudiciali.
La Corte della Ragione rivede in ultima istanza le sentenze, e nomina per concorso
i Giudici togati.
Ai cittadini costituiti in Corte della Ragione è fatto divieto di tenere alcun altro
officio, sia nella sede in altro Comune.
Né possono esercitare professione o industria o mestiere per tutta la durata della
carica.
Del Comandante
XXXXIII – Quando la Reggenza venga in pericolo estremo e veda la sua salute nella
devota volontà d’un solo, che sappia raccogliere eccitare e condurre tutte le forze del
popolo alla lotta e alla vittoria, il Consiglio nazionale solennemente adunato
nell’Arengo può nominare a viva voce per voto il Comandane e a lui rimettere la potestà
suprema senza appellazione.
Il Consiglio determina il più o men breve tempo dell’imperio non dimenticando
che nella Repubblica romana la dittatura durava sei mesi.
XXXXIV – Il Comandante, per la durata dell’imperio, assomma tutti i poteri politici e
militari, legislativi ed esecutivi.
I partecipi del Potere esecutivo assumono presso di lui officio di segretarii e
commissarii.
XXXXV – Spirato il termine dell’imperio, il Consiglio nazionale si raduna e delibera
di riconfermare il Comandante nella carica,
oppure sostituire in suo luogo un altro cittadino,
oppure di deporlo,
o anche di bandirlo.
XXXXVI – Ogni cittadino investito dei diritti politici, sia o non sia partecipe dei poteri
nella Reggenza, può essere eletto al supremo officio.
Della difesa nazionale
XXXXVII – Nella reggenza italiana del Carnaro tutti i cittadini, d’ambedue i sessi,
dall’età di diciassette anni all’età di cinquantacinque, sono obbligati al servizio militare
per la difesa della terra.
Fatta la cerna, gli uomini validi servono nelle forze di terra e di mare, gli uomini
meno atti e le donne salde servono nelle ambulanze, negli ospedali, nelle
amministrazioni, nelle fabbriche d’armi, e in ogni altra opera ausiliaria, secondo
l’attitudine e secondo la perizia di ognuno.
XXXXVIII – A tutti i cittadini che durante il servizio militare abbiano contratto una
infermità insanabile, e alle loro famiglie in bisogno, è dovuto il largo soccorso dello
Stato.
Lo Stato adotta i figli dei cittadini gloriosamente caduti in difesa della terra,
soccorre i consanguinei se sieno in distretta, raccomanda i nomi dei morti alla memoria
delle generazioni.
XXXXIX – In tempo di pace e di sicurezza, la Reggenza non mantiene l’esercito
armato; ma tutta la nazione resta armata, nei modi prescritti dall’apposita legge, e allena
con sagace sobrietà le sue forze di terra e di mare.
Lo stretto servizio è limitato ai periodi d’istruzione e ai casi di guerra guerreggiata
o di pericolo prossimo.
In periodo d’istruzione e in caso di guerra, il cittadino non perde alcun dei suoi
diritti civili e politici; e può esercitarli quando sieno conciliabili con la necessità della
disciplina attiva.
Dell’istruzione pubblica
L – Per ogni gente di nobile origine la coltura è la più luminosa delle armi lunghe.
Per la gente adriatica, di secolo in secolo costretta a una lotta senza tregua contro
l’usurpatore incolto, essa è più che un’arme; è una potenza indomabile come il diritto e
come la fede.
Per il popolo di Fiume, nell’atto medesimo della sua rinascita a libertà, diviene il
più efficace strumento di salute e di fortuna sopra l’insidia estranea che da secoli la
stringe.
La coltura è l’aroma contro le corruzioni. La coltura è la saldezza contro le
deformazioni.
Sul Carnaro di Dante il culto della lingua di Dante è appunto il rispetto e la
custodia di ciò che in tutti i tempi fu considerato come il più prezioso dei popoli, come
la più alta testimonianza della loro nobiltà originaria, come l’indice supremo del loro
sentimento di dominazione morale.
La dominazione morale è la necessità guerriera del nuovo Stato. L’esaltazione
delle belle idee umane sorge dalla sua volontà di vittoria.
Mentre compisce la sua unità, mentre conquista la sua libertà, mentre instaura la
sua giustizia, il nuovo Stato deve sopra tutti i suoi propositi proporsi di difendere
conservare propugnare la sua unità la sua libertà la sua giustizia nella regione dello
spirito.
Roma deve qui essere presente nella sua coltura. L’Italia deve qui essere presente
nella sua coltura.
Il ritmo romano, il ritmo fatale del compimento, deve ricondurre su le vie
consolari l’altra stirpe inquieta che s’illude di poter cancellare le grandi vestigia e di
poter falsare la grande storia.
Nella terra di specie latina, nella terra smossa dal vomere latino, l’altra stirpe sarà
foggiata o prima o poi dallo spirito creatore della latinità: il quale non è se non una
disciplinata armonia di tutte quelle forze che concorrono alla formazione dell’uomo
libero.
Qui si forma l’uomo libero.
E qui si prepara il regno dello spirito, pur nello sforzo del lavoro e nell’acredine
del traffico.
Per ciò la Reggenza italiana del Carnaro pone alla sommità delle sue leggi la
coltura del popolo; fonda sul patrimonio della grande coltura latina il suo patrimonio.
LI – È instituita nella città di Fiume una Università libera, collocata in un vasto edificio
capace di contenere ogni maggiore aumento di studii e di studiosi, retta da suoi proprii
statuti come la Corporazione.
Sono nella città di Fiume instituite una scuola di Arti belle, una Scuola di Arti
decorative, una scuola di Musica, poste sopra l’abolizione di ogni vizio e pregiudizio
magistrali, condotte dal più sincero e ardito spirito di ricerca nella novità, rette da un
acume atto a purificarle dall’ingombro dei mal dotati e a sceverare i buoni dai migliori e
a secondare i migliori nella scoperta di sé e dei nuovi rapporti fra la materia difficile e il
sentimento umano.
LII – Provvede a ordinare le Scuole medie il Consiglio degli Ottimi; provvede a
ordinare le Scuole tecniche e professionali il Consiglio dei Provvisori; provvede a
ordinare gli Alti Studi il Consiglio nazionale.
In tutte le scuole di tutti i Comuni l’insegnamento della lingua italiana ha
privilegio insigne.
Nelle Scuole medie è obbligatorio l’insegnamento dei diversi idiomi parlati in
tutta la Reggenza italiana del Carnaro.
L’insegnamento primario è dato nella lingua parlata dalla maggioranza degli
abitanti di ciascun Comune e nella lingua parlata dalla minoranza in corsi paralleli.
Se alcun Comune tenti di sottrarsi all’obbligo d’instituire tali corsi, la Reggenza
esercita il suo diritto di provvedervi, aggravando della spesa il Comune.
LIII – Un Consiglio scolastico determina l’ordine e il modo dell’insegnamento
primario, che è d’obbligo nelle scuole di tutti i Comuni.
L’insegnamento del canto corale fondato su i motivi della più ingenua poesia
paesana e l’insegnamento dell’ornato su gli esempi della più fresca arte rustica hanno il
primo luogo.
Compongono il Consiglio
un rappresentante di ciascun Comune
due rappresentanti delle Scuole medie
due delle Scuole tecniche e professionali
due degli Istituti superiori, eletti dagli insegnanti e dagli studenti
due della Scuola di Musica
due della Scuola di Arti decorative
LIV – Alle chiare pareti delle scuole aerate non convengono emblemi di religione né
figure di parte politica.
Le scuole pubbliche accolgono i seguaci di tutte le confessioni religiose, i credenti
di tutte le fedi, e quelli che possono vivere senza altare e senza dio.
Perfettamente rispettata è la libertà di coscienza. E ciascuno può fare la sua
preghiera tacita.
Ma ricorrono su le pareti quelle iscrizioni sobrie che eccitano l’anima e, come i
temi d’una sinfonia eroica, ripetute non perdono mai il loro potere di rapimento.
Ma ricorrono sulle pareti le imagini grandiose di quei capolavori che con la
massima potenza lirica interpretano la perpetua aspirazione e la perpetua implorazione
degli uomini.
Della riforma statutaria
LV – Ogni sette anni il grande Consiglio nazionale si aduna in assemblea straordinaria
per la riforma della Costituzione.
Ma la Costituzione può essere riformata in ogni tempo quando sia chiesta dal terzo
dei cittadini in diritto di voto.
Hanno facoltà di proporre emendamenti al testo della Costituzione
i membri del Consiglio nazionale
le rappresentanze dei Comuni
la Corte della Ragione
le Corporazioni.
Del diritto d’iniziativa
LVI – Tutti i cittadini appartenenti ai corpi elettorali hanno il diritto d’iniziare proposte
di leggi che riguardino le materie riservate all’opera dell’uno o dell’altro Consiglio,
rispettivamente.
Ma l’iniziativa non è valida se almeno il quarto degli elettori, per l’uno o per
l’altro Consiglio, non la promuova e non la sostenga.
Della riprova popolare
LVII – Tutte le leggi sancite dai due corpi del Potere legislativo possono essere
sottoposte alla riprova del consenso o del dissenso pubblico quando la riprova sia
domandata da un numero di elettori eguale per lo meno al quarto dei cittadini in diritto
di voto.
Del diritto di petizione
LVIII – Tutti i cittadini hanno diritto di petizione verso i corpi legislativi che da essi
furono per buon diritto eletti.
Della incompatibilità
LIX – Nessun cittadino può esercitare più di un potere né partecipare di due corpi
legislativi nel tempo medesimo.
Della rivocazione
LX – Ogni cittadino può essere rivocato dall’officio che occupa,
quando egli perda i diritti politici per sentenza confermata dalla Corte della
Ragione,
quando la rivocazione sia imposta per voto schietto dalla metà più uno degli
inscritti al corpo elettorale.
Della responsabilità
LXI – Tutti i partecipi dei poteri e tutti i pubblici ufficiali della Reggenza sono
penalmente e civilmente responsabili del danno che allo Stato al Comune alla
Corporazione al semplice cittadino rechino le loro trasgressioni, per abuso, per incuria,
per codardia, per inettezza.
Della retribuzione
LXII – A tutti gli ufficiali pubblici, nominati negli statuti e collocati nel nuovo
ordinamento, è fatta una retribuzione giusta; che una legge votata dal Consiglio
nazionale determina di anno in anno.
Della edilità
LXIII – È instituito nella Reggenza un collegio di Edili, eletto con discernimento fra gli
uomini di gusto puro, di squisita perizia e di educazione novissima.
Più che l’edilità romana il collegio rinnovella quegli «ufficiali dell’ornato della
città» che nel nostro Quattrocento componevano una via o una piazza con quel
medesimo senso musicale che li guidava nell’apparato di una pompa repubblicana o in
una rappresentazione carnascialesca.
Esso presiede al decoro del vivere cittadino;
cura la sicurezza, la decenza, la sanità degli edifizii pubblici e delle case
particolari;
impedisce il deturpamento delle vie con fabbriche sconce o mal collocate;
allestisce le feste civiche di terra e di mare con sobria eleganza, ricordandosi di
quei padri nostri a cui per fare miracoli di gioia bastava la dolce luce, qualche leggera
ghirlanda, l’arte del movimento e dell’aggruppamento umano;
persuade ai lavoratori che l’ornare con qualche segno di arte popolesca la più
umile abitazione è un atto pio, e che v’è un sentimento religioso del mistero umano e
della natura profonda nel più semplice segno che di generazione in generazione si
trasmette inciso o dipinto nella madia, nella culla, nel telaio, nella conocchia, nel
forziere, nel giogo;
si studia di ridare al popolo l’amore della linea bella e del bel colore nelle cose che
servono alla vita d’ogni giorno, mostrandogli quel che la nostra gente vecchia sapesse
fare con un leggero motivo geometrico con una stella, con un fiore, con un cuore, con
un serpe, con una colomba sopra un boccale, sopra un orcio, sopra una mezzina, sopra
una panca, sopra un cofano, sopra un vassoio;
si studia di dimostrare al popolo perché e come lo spirito delle antiche libertà
comunali si manifestasse non soltanto nelle linee, nei rilievi, nelle commettiture delle
pietre, ma perfino nell’impronta dell’uomo posta su l’utensile fatto vivente e potente;
infine, convinto che un popolo non può avere se non l’architettura che meritano la
robustezza delle sue ossa e la nobiltà della sua fronte, si studia di incitare e di avviare
intraprenditori e costruttori a comprendere come le nuove materie – il ferro, il vetro, i
cementi – non domandino se non di essere inalzate alla vita armoniosa nelle invenzioni
della nuova architettura.
Della musica
LXIV – Nella reggenza italiana del Carnaro la Musica è una istituzione religiosa e
sociale.
Ogni mille anni, ogni duemila anni sorge dalla profondità del popolo un inno e si
perpetua.
Un grande popolo non è soltanto quello che crea il suo dio a sua simiglianza ma
quello che anche crea il suo inno per il suo dio.
Se ogni rinascita d’una gente nobile è uno sforzo lirico, se ogni sentimento
unanime e creatore è una potenza lirica, se ogni ordine nuovo è un ordine lirico nel
senso vigoroso e impetuoso della parola, la Musica considerata come linguaggio rituale
è l’esaltatrice dell’atto di vita, dell’opera di vita.
Non sembra che la grande Musica annunzi ogni volta alla moltitudine intenta e
ansiosa il regno dello spirito?
Il regno dello spirito umano non è cominciato ancora.
«Quando la materia operante su la materia potrà tener vece delle braccia
dell’uomo, allora lo spirito comincerà a intravedere l’aurora della sua libertà» disse un
uomo adriatico, un uomo dalmatico: il cieco veggente di Sebenico.
Come il grido del gallo eccita l’alba, la musica eccita l’aurora, quell’aurora:
«excitat auroram».
Intanto negli strumenti del lavoro e del lucro e del gioco, nelle macchine fragorose
che anch’esse obbediscono al ritmo esatto come la poesia, la Musica trova i suoi
movimenti e le sue pienezze.
Delle sue pause è formato il silenzio della decima Corporazione.
LXV – Sono istituiti in tutti i Comuni della Reggenza corpi corali e corpi strumentali
con sovvenzione dello Stato.
Nella città di Fiume al collegio degli Edili è commessa l’edificazione di una
Rotonda capace di almeno diecimila uditori, fornita di gradinate comode per il popolo e
d’una vasta fossa per l’orchestra e per il coro.
Le grandi celebrazioni corali e orchestrali sono «totalmente gratuite» come dai
padri della Chiesa è detto delle grazie di Dio.
Statutum et ordinatum est.
Iuro ego.
FONTE : R. De Felice (cur.), La Carta del Carnaro nei testi di Alceste De Ambris e di
Gabriele D’Annunzio, il Mulino, Bologna, 1973, pp. 35 ss.